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lunedì 13 marzo 2017

Creatività, etica, produzione artistica e appropriazione culturale.

La creatività è un processo di pensiero che ci permette di crescere, di esplorare ciò che ci piace o non ci piace, di creare nuove strade, di ripercorrerne di antiche e a volte, se siamo fortunati, di esprimere la parte più nascosta e "illuminata" di noi stessi. E' un processo importante per lo sviluppo di ogni essere umano, tutti noi siamo creativi, anche  se gli atti creativi che produciamo a volte sono quasi impercettibili. Tutti noi però siamo capaci di creare, questo però non significa che qualsiasi cosa emerga dalla nostra mente sia necessariamente da condividere, o che tutto possa essere "manipolato" e "utilizzato" per i nostri progetti creativi. Questo è vero soprattutto quando il nostro mezzo creativo non è parte della nostra cultura d'origine. Qual'è il confine tra libertà espressiva, etica e appropriazione culturale? 
Navigando tra social, internet e il mondo reale ho notato, con mio rammarico, che la questione della "appropriazione culturale" è poco se non totalmente sconosciuta o meglio NON riconosciuta, all'interno della comunità di donne che praticano la "danza orientale" nelle sue diverse declinazioni e derivazioni. 
Sarò sincera, non ho ancora capito se questo mancato riconoscimento di una questione così importante è dato da una sostanziale ignoranza di fondo rispetto alle culture/società in cui questa danza si è sviluppata ed evoluta, o se è proprio una forma di colonialismo culturale, (e non uso la parola colonialismo a caso) talmente radicato che non lo vediamo nemmeno, o non siamo disposti a riconoscere come parte di noi. 
Come sempre non sono qui per puntare il dito su nessuno, vorrei solo che certe questioni vengano a galla e si faccia un passo avanti per riconoscere anche le nostre responsabilità nel perpetrare un immaginario esotico/erotico che risponde più alla visione che "l'occidente" ha del "Medio Oriente" che alla realtà. 
Quando si parla di Appropriazione culturale si intende in generale l'impiego di "caratteristiche culturali" (arte figurativa, musica, tessuti, gioielli etc..) appartenenti ad una cultura altra dalla nostra, scollegandole dai significati simbolici, sociali, storici e culturali che possiedono nella cultura d'origine, a volte per ignoranza a volte per stupire lo spettatore, a volte semplicemente perchè pensiamo che sia un nostro diritto artistico manipolare "l'altro" per i nostri fini, qualsiasi essi siano. 
Il confine tra "appropriazione culturale" e "libertà creativa" è molto sottile, me ne rendo conto, ma questo confine esiste e rispettarlo è importante proprio per poter dare alle nostre azioni artistiche una forza comunicativa maggiore. 
La danza per me è un linguaggio, un mezzo di comunicazione, molto potente, che può diventare uno strumento per combattere stereotipi e pregiudizi verso la cultura che sottende il nostro mezzo espressivo (la danza orientale in questo caso), di questo dobbiamo essere consapevoli. Non possiamo svincolarci da questa responsabilità se vogliamo portare la nostra danza ad un livello "superiore", non possiamo decidere di "cancellare" alcune parti della cultura d'origine della nostra danza o di decontestualizzarla perchè "a noi piace così", perchè ciò che portiamo là fuori non riguarda solo noi. 
Le parole come i gesti, i movimenti e la danza hanno un senso e un significato originale/originario che non possono essere dimenticati. 
Studiare è la chiave: informarsi, farsi domande, mettersi dalla parte "dell'altro". Tutto questo non riduce la nostra creatività e la nostra libertà artistica, al contrario ci permette di accedervi ad un livello più profondo, creando la nostra danza nel rispetto della cultura da cui proviene. 

giovedì 29 settembre 2016

Orientalismo: il fascino dell'esotico

Ecco il primo post per inaugurare questa nuova avventura, il primo argomento che vorrei trattare è una questione che potrebbe essere vista come "puramente accademica", ma che dal mio punto di vista è invece fondamentale: la questione Orientalista, ossia il fascino dell'esotico. Il termine Orientalismo, (proposto da Edward Said nel suo libro omonimo), è un termine famigliare per chi proviene da un percorso universitario simile al mio, è una parola importante, che si riflette anche nel mondo della Danza Orientale, nell'immaginario ad essa sotteso. Ma partiamo dall'inizio, quando noi divulghiamo la Danza Orientale, parliamo non solo di movimento e corpo, ma anche e soprattutto di culture e mondi altri definiti solitamente Medio Orientali. Il termine "geografico" Medio Oriente comprende più o meno involontariamente in se una visione "di parte" è un termine che definisce la posizione di un'area rispetto all'Europa, termine nato quando l'Europa era ancora considerata il centro del mondo, è un termine che presuppone la definizione dell'altro come "contrapposto" a ciò che siamo noi. Quando Said ha proposto il termine Orientalismo faceva proprio riferimento a questa visione, figlia di un retaggio colonialista, che racchiudeva nella parola "Oriente" una visione edulcorata, riassunta in canoni e immaginari dipendenti dalla visione eurocentrica e colonialista, non dalle diverse e molteplici componenti Reali di questi territori, prediligendo invece questa entità/identità di comodo. Ma perché parlare di Orientalismo nella Danza Orientale? Perché questa visione Orientalista è molto più radicata di quanto si pensi, emerge distintamente ogni volta che ci accontentiamo di rappresentare una cultura altra da noi, attraverso stereotipi e preconcetti (noi italiani in questo siamo stati storicamente da entrambe le parti: l'italiano mafia pizza e mandolino ne è un esempio lampante e ancora attuale), emerge ogni volta che decidiamo di proporre questa danza come retaggio di un mondo "antico" fatto esclusivamente di piaceri e bellezza: l'Harem e il Sultano ad esempio, tralasciando gli aspetti di quel mondo che ci risultano scomodi, ostili o semplicemente incomprensibili. Ma se vogliamo davvero rendere onore a questa forma d'arte abbiamo il diritto e il dovere di esplorarne tutti gli aspetti, senza edulcorarne o modificarne la realtà per paura o "comodità". Con questo non voglio dire che non si può utilizzare l'immaginario dell'Harem o del Sultano o le favole leggendarie de "Le mille e una notte" che hanno innegabilmente il loro fascino e la loro bellezza, (ricordo peraltro che "Le mille e una notte" sono una raccolta di racconti di provenienza principalmente Persiana, non Araba), lo possiamo fare, ma con la consapevolezza che stiamo appunto proponendo un sogno, una nostra "Visione" e non ciò che questa danza è oggi in Egitto o in Turchia o in Libano. Per concludere vi propongo una lettura un po' più "leggera" del libro di Edward Said, ma altrettanto interessante, un libro che mi ha accompagnato durante tutto il mio corso di Laurea, il libro di Maxime Rodinson "Il fascino dell'Islam" edizioni Dedalo, in cui Rodinson ci racconta come l'Islam e i suoi territori sono stati studiati nel corso dei secoli da studiosi "occidentali".