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giovedì 21 marzo 2019

Prima le parole



È da un po’ che non scrivo sul mio blog, non sempre mi è facile trovare il tempo e ancora di più le parole giuste per esprimere i pensieri e le riflessioni che mi vagano nella mente, e così oggi è proprio di ‘parole’ che ho deciso di riprendere a scrivere.
Per chi danza le parole sono spesso superflue, non necessarie, se non addirittura un ostacolo all’espressione più onesta del movimento del corpo. 
Cosa succede però quando abbiamo necessità di parlare e/o scrivere di danza? Le parole passano immediatamente in primo piano, diventano il primo canale di conoscenza e trasmissione di un sapere che non è solo corporeo, diventano quindi importanti tanto quanto i nostri movimenti, la musica, l’abito. Perché allora non ce ne prendiamo cura come facciamo con i nostri abiti, la musica e il nostro “trucco e parrucco”?
In altre aree del mondo le comunità di danzatrici orientali stanno discutendo e si stanno confrontando per cercare di “liberare”il vocabolario della danza orientale dai termini che hanno ancora il sapore di “orientalismo” ed “esotismo” così evocativi, ma anche, spesso, così pregni di colonialismo culturale. 
La danza è un linguaggio universale, ma la danza orientale - o, meglio, le danze del Medio Oriente - sono la rappresentazione della cultura e dell’evoluzione storica, politica e culturale di popoli e zone geografiche diversi. Questo pone noi - insegnanti, danzatrici e allieve, - in una situazione un po’ diversa: siamo rappresentanti, portavoce non solo della nostra creatività e visione artistica, ma anche di questi popoli e soprattutto di queste donne. 
Edulcorare la realtà attraverso l’uso di immagini che si rifanno ad un passato mitico o sovrapporre la danza orientale a immaginari culturali meno problematici pensando così di liberarci dal peso dell’attualità storica, politica e culturale che il Medio Oriente odierno presenta ha spesso l’effetto contrario, relegando la nostra danza ad un livello artistico ed espressivo meno significativo di altre danze che sono invece immerse nel contesto culturale in cui nascono. 
La danza può cambiare il mondo, ma prima deve avere il coraggio di guardare in faccia il mondo che vuole cambiare, non rigettando ciò che è “scomodo” ma, anzi, prendendolo e trasformandolo in uno spunto di riflessione che possa far crescere in noi e nel nostro pubblico una consapevolezza e un rispetto più profondo. Cercherò di spiegarmi meglio. Un po’ di tempo fa è stato condiviso su facebook un video di una danzatrice in un club egiziano che mostrava la nuova “tendenza” della danza orientale. La pubblicazione di questo video ha scatenato spesso commenti poco edificanti verso la danzatrice, il costume e l’atteggiamento della performer. Pochi si sono però soffermati sul motivo dell’affermazione di questa nuova tendenza, o su come promuovere una immagine alternativa. 
Non possiamo decidere di considerare l’Egitto patria della danza orientale se non siamo disposti a vedere che esiste anche un’altra realtà, come quella esposta qualche anno fa da un bellissimo documentario "Dancers" di Celame Barge che illustrava la vita delle danzatrici orientali non famose. Le umiliazioni, le difficoltà e lo stigma che queste donne devono vivere ogni giorno dovrebbe farci riflettere, perché noi rappresentiamo ANCHE loro, volenti o nolenti, e solo se troviamo le parole giuste per contestualizzare gli avvenimenti e gli eventi che l’attualità ci presenta ogni giorno potremo fare di questa danza un linguaggio potente e non solamente una forma di intrattenimento auto-relegata nell’evocativo ed esotico. 
Quando cerchiamo di depurare questa danza dai suoi aspetti più controversi il rischio che corriamo è proprio quello di spogliare questa danza dei suoi aspetti più identitari e arricchenti, quegli stessi aspetti che la rendono così bella e unica.

venerdì 7 settembre 2018

Che Storia è??

Il mio contatto con la Danza Orientale è stato un po' diverso dal solito. Dopo essermi laureata in Lingue Orientali a Venezia ho iniziato a frequentare il primo corso di danza, entrando in un mondo che per me non era sconosciuto o esotico, ma al contrario famigliare e quotidiano, grazie anche a un soggiorno di tre mesi a Sana'a in Yemen, allora ancora visitabile e non dilaniato come è oggi.
Danzare alle feste per sole donne, danzare con le amiche a casa loro durante il week end, sentire la musica letteralmente dovunque mi ha permesso di comprendere la danza e di inserirla più facilmente in contesti sociali e storici. La prima volta che ho visto un Muwashshah conoscevo la poesia e la storia dei luoghi in cui questa forma poetica è nata, la danza ha subito acquisito un significato più stratificato e profondo, non per questo migliore ma più informato. Di questo vorrei scrivere oggi in questo nuovo post, dell'importanza dell'informazione/formazione e della sua affidabilità.
Che la si faccia per "divertimento" o con aspirazioni professionali questa danza è e resta l'espressione culturale dei popoli che la praticano.
Gli studi "orientali" non sono una novità, in particolare gli studi sul "Medio Oriente" hanno una lunga tradizione anche in Italia, vi sono molti studiosi anche contemporanei che varrebbe la pena leggere, ma oggi vorrei parlare di studi storici, cioè come nel tempo le culture altre sono state studiate, analizzate e decodificate. Nonostante l'abbondanza di informazioni e risorse reperibili oggi, per me i libri sono comunque una risorsa fondamentale e primaria, alcuni più di altri mi hanno aiutata a espandere il mio punto di osservazione, a mutare e a evolvere la mia visione di questi mondi distanti e vicini allo stesso tempo. 
Uno di questi libri a cui ritorno spesso e che non smetto mai di promuovere è "Il fascino dell'Islam" di Maxime Rodinson, Dedalo edizioni. Perchè questo libro? Perchè oggi il problema non è più reperire le informazioni ma piuttosto imparare a capire come distinguere tra la storia, la leggenda, i miti e la propaganda.  
Studiare la storia, lo sviluppo degli studi legati al "Medio Oriente", le circostanze storiche e politiche che hanno influenzato questi studi nelle diverse epoche, comprendere come le informazioni sono state trasmesse, tradotte o qualche volta travisate, per giungere a noi travestite da verità credo sia fondamentale per rendere giustizia a questa arte e per riuscire a viverla pienamente, che lo si faccia per passatempo o per la vita, e anche per scrollarsi di dosso qualche pregiudizio e preconcetto che spesso dice molto di più su "Noi" che su "Loro". 
Per concludere non vi riassumerò il libro, perchè non voglio influenzare la vostra lettura, ma sarò ben felice di scambiare idee, opinioni e quant'altro con chi deciderà di leggerlo. 

giovedì 29 settembre 2016

Orientalismo: il fascino dell'esotico

Ecco il primo post per inaugurare questa nuova avventura, il primo argomento che vorrei trattare è una questione che potrebbe essere vista come "puramente accademica", ma che dal mio punto di vista è invece fondamentale: la questione Orientalista, ossia il fascino dell'esotico. Il termine Orientalismo, (proposto da Edward Said nel suo libro omonimo), è un termine famigliare per chi proviene da un percorso universitario simile al mio, è una parola importante, che si riflette anche nel mondo della Danza Orientale, nell'immaginario ad essa sotteso. Ma partiamo dall'inizio, quando noi divulghiamo la Danza Orientale, parliamo non solo di movimento e corpo, ma anche e soprattutto di culture e mondi altri definiti solitamente Medio Orientali. Il termine "geografico" Medio Oriente comprende più o meno involontariamente in se una visione "di parte" è un termine che definisce la posizione di un'area rispetto all'Europa, termine nato quando l'Europa era ancora considerata il centro del mondo, è un termine che presuppone la definizione dell'altro come "contrapposto" a ciò che siamo noi. Quando Said ha proposto il termine Orientalismo faceva proprio riferimento a questa visione, figlia di un retaggio colonialista, che racchiudeva nella parola "Oriente" una visione edulcorata, riassunta in canoni e immaginari dipendenti dalla visione eurocentrica e colonialista, non dalle diverse e molteplici componenti Reali di questi territori, prediligendo invece questa entità/identità di comodo. Ma perché parlare di Orientalismo nella Danza Orientale? Perché questa visione Orientalista è molto più radicata di quanto si pensi, emerge distintamente ogni volta che ci accontentiamo di rappresentare una cultura altra da noi, attraverso stereotipi e preconcetti (noi italiani in questo siamo stati storicamente da entrambe le parti: l'italiano mafia pizza e mandolino ne è un esempio lampante e ancora attuale), emerge ogni volta che decidiamo di proporre questa danza come retaggio di un mondo "antico" fatto esclusivamente di piaceri e bellezza: l'Harem e il Sultano ad esempio, tralasciando gli aspetti di quel mondo che ci risultano scomodi, ostili o semplicemente incomprensibili. Ma se vogliamo davvero rendere onore a questa forma d'arte abbiamo il diritto e il dovere di esplorarne tutti gli aspetti, senza edulcorarne o modificarne la realtà per paura o "comodità". Con questo non voglio dire che non si può utilizzare l'immaginario dell'Harem o del Sultano o le favole leggendarie de "Le mille e una notte" che hanno innegabilmente il loro fascino e la loro bellezza, (ricordo peraltro che "Le mille e una notte" sono una raccolta di racconti di provenienza principalmente Persiana, non Araba), lo possiamo fare, ma con la consapevolezza che stiamo appunto proponendo un sogno, una nostra "Visione" e non ciò che questa danza è oggi in Egitto o in Turchia o in Libano. Per concludere vi propongo una lettura un po' più "leggera" del libro di Edward Said, ma altrettanto interessante, un libro che mi ha accompagnato durante tutto il mio corso di Laurea, il libro di Maxime Rodinson "Il fascino dell'Islam" edizioni Dedalo, in cui Rodinson ci racconta come l'Islam e i suoi territori sono stati studiati nel corso dei secoli da studiosi "occidentali".