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mercoledì 16 ottobre 2019

La danza ai tempi di youtube





E’ il 2007 quando la versione italiana di Youtube fa la sua comparsa, uno strumento nuovo, incredibile, che permette alle persone di condividere video. Un nuovo strumento che ben presto rivela infinite potenzialità: l’opportunità di farsi conoscere a livello mondiale, di mostrare le proprie capacità, la propria arte, le proprie idee. Una vera e propria rivoluzione, che ci ha regalato artisti, conoscenze e, apparentemente, infinite possibilità.
Ma è davvero tutto oro quello che luccica? 
Quali cambiamenti ha portato Youtube nel mondo della danza orientale? 
Sicuramente uno dei grandi pregi di Youtube è l’aver permesso ad un grande pubblico di accedere a video che testimoniano e presentano le danzatrici che hanno fatto la storia della danza  orientale, di avere un pressoché infinito campo di ricerca sulla danza orientale, di aver reso popolari e apprezzate artiste e artisti che altrimenti sarebbero rimasti “relegati” nella propria zona geografica. D’altro canto però Youtube, proprio per il suo carattere “popolare” e “senza filtri” permette a chiunque di pubblicare video, tutorial, performance e quant’altro a prescindere dalla competenza, formazione, e/o capacità. 
Proprio l’altro giorno in un gruppo dedicato alla danza orientale di cui faccio parte su Facebook (altro Giano bifronte) è emersa una questione strettamente legata alla danza in video, contrapposta alla danza dal vivo. Molti hanno condiviso i propri punti di vista, e ciò che è emerso è che spesso, per la danza, ciò che funziona in video non sempre ha lo stesso impatto dal vivo, e viceversa, insomma non sempre i video rispecchiano e riproducono fedelmente la realtà, specialmente in un’arte “istantanea” come la danza.
Cosa c’è di male in tutto ciò? Nulla, apparentemente, se si parte dalla premessa che il pubblico di Youtube sia un pubblico informato e capace di distinzioni, un pubblico REALE, (ma così non è), e che ciò che viene condiviso sia qualcosa che porti miglioramenti, contributi di valore alla danza. Spesso ci dimentichiamo che Youtube, Facebook, instagram etc. sono mondi virtuali in cui ciò che sembra spontaneo, reale e vero è invece un mondo costruito, pensato e creato apposta per apparire naturale e reale, il cui scopo è catturare lo spettatore, la qualità non sempre è il punto di partenza.
Confesso che, non essendo nata in questo mondo virtuale, il mio approccio ad esso e a ciò che produce è spesso disincantato, se non cinico. Ciò che mi inquieta di più è che sempre più spesso sembra che ciò che conti non sia essere competenti, ma piuttosto essere visibili, cioè presenti in modo consistente nel web, sui social, insomma fare in modo che il pubblico non si dimentichi di noi, una sorta di versione mediatica del famoso detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” che già non è poi così vero nella realtà “reale”. 
Così “condividere” è diventata ormai la parola chiave, ma condividere cosa? Le nostre attività? la nostra “filosofia”? Il nostro prodotto-danza? La nostra immagine pubblica? Chi siamo? 
Quello che mi chiedo è: davvero questa sovraesposizione ha portato dei “vantaggi” al mondo della danza orientale? O stiamo rischiando di trasformare un’esperienza reale in un surrogato virtuale che non permette di approfondire, ma ci da solo l’illusione di poter un giorno anche noi, attingere ai nostri 10 minuti di notorietà?

lunedì 23 aprile 2018

Bal Anat per me

é già passata qualche settimana dall'intenso Bal Anat Tour in Europa. Mi ero ripromessa di scrivere un post su questa esperienza per me così speciale, ma pur avendo mille cose per la testa, l'esperienza è stata così intensa che forse avrò bisogno di un anno per riuscire davvero a metabolizzare tutto quello che ho vissuto e scoperto facendo di nuovo parte di Bal Anat. 
Ci sono però alcune cose che mi sono rimaste dentro, che ho notato, e ho apprezzato e che sento il bisogno di condividere.
Prima di tutto il valore di partire da una base di studio comune solida, una tecnica che permette di studiare le coreografie in modo indipendente, garantendo una uniformità che ha poi bisogno solo di un paio di giorni per essere trasformata in una performance di gruppo caratterizzata non solo dal sincronismo tecnico, ma da una profondità emotiva che permette di essere un gruppo anche dal punto di vista emotivo/creativo, (per arrivare a questo si lavora molto sia sulla sincronizzazione che sull'affiatamento del gruppo, pescando da diverse tecniche della danza e del movimento). 
Mentre si impara la coreografia viene posta grande attenzione anche alla componente emotiva che è parte fondante di un movimento danzato sentito e non "riprodotto", ad ogni coreografia corrispondono non solo dei passi, ma anche un mood, un'ambientazione e una ricerca personale che permetta ad ogni danzatrice di ri-trovare se stessa, il proprio significato, la propria essenza nella Tribe che rappresenta. (un esempio di questo processo creativo è il collage che trovate qui sotto)


Un'altra cosa che mi lascia senza parole è l'energia che si crea sul palco tra tutti noi, che sia una prova generale o lo spettacolo vero e proprio, ma anche l'energia che viene trasmessa al pubblico, che non è semplice "spettatore", ma è catturato e portato nel nostro mondo, come ho già detto in qualche post, questo non è uno spettacolo, ma una vera e propria esperienza.
Da un punto di vista personale per me aver fatto parte di Bal Anat in Europa è stata una sfida, un traguardo, un inizio e una fine, una frustrazione e una immensa soddisfazione, una conferma e la scintilla del dubbio, insomma tante cose, non sempre coerenti, ma di sicuro importanti per il mio percorso di danzatrice, ma anche e soprattutto del mio percorso di crescita come persona.

martedì 5 dicembre 2017

Il fascino del movimento.

Lo confesso, sono sempre stata affascinata e anche un po' ossessionata dal movimento. Fin da piccola, quando guardavo i vecchi musical con Fred Astaire e Gene Kelly, cercavo di imitare, replicare la leggerezza, i passi, la danza, che vedevo irradiarsi dal piccolo schermo. 
La danza è stato il mio primo amore, dal Bolero di Béjart in poi, un corpo smosso dalla musica mi ha sempre trasmesso emozioni indefinibili ma così profonde che seppure senza nome, non sono per questo meno emozionanti.
Crescendo, le mie esperienze a contatto con altre culture, hanno regalato alla mia fantasia nuovi spunti e immaginari di movimento. Ogni cultura contiene in se caratteristiche di movimento peculiari e allo stesso tempo universali. Questo sommesso filo conduttore che spesso si rivela nella danza, nelle danze di diverse culture mi ha offerto orizzonti di movimento più vasti, che si intersecano e si allontanano, che offrono al corpo, ai corpi nuove possibilità espressive. 
L'incontro con la danza educativa è stato, in un certo senso, l'ultimo anello di una catena di movimento in movimento. Questo diverso punto di vista mi ha permesso non solo di darmi una definizione personale di ciò che per me è danza, ma anche di comprendere meglio cosa mi colpisce, cosa mi emoziona di un movimento, di un corpo che danza la propria danza, mi ha permesso di sviluppare sempre di più la mia consapevolezza, il mio stare nel momento danzato, ma mi ha anche donato un regalo tra i più belli: la capacità di vedere la danza ovunque.
Avete mai camminato per la vostra città, il vostro paese con le cuffiette nelle orecchie e la musica che sovrasta e copre i rumori esterni? Immergendo, immaginando tutto ciò che vi circonda in una specie di improvvisazione danzante inconsapevole? Avete mai notato come tutto "va a ritmo" anche se la musica la sentite solo voi?
Io mi ritrovo a farlo spesso, anche senza musica ormai, trovando il suono nel movimento delle persone, nel ritmo della loro camminata, nella gestualità. Mi immergo nella poesia del corpo umano, ed ogni volta mi meraviglio della potenza espressiva del corpo. Seduta su una panchina mi ritrovo ad assaporare l'unisono di due persone che camminano fianco a fianco, i passi incerti di un bimbo che esplora, il piacere pervasivo dell'energia di una corsa, del rincorrersi dei bambini. La cadenza goffa e bella di un corpo adolescente che si adatta alla sua evoluzione fisica. Tutto questo mi regala ogni volta una sorta di serenità e di piacere profondo e intimo, credo sia per questo che insegno danza, perchè osservare le allieve esplorare le proprie potenzialità nella danza mi commuove, mi scuote. Vederle sviluppare e esplorare la propria voce danzante mi emoziona e spero ci saranno sempre allieve che mi permetteranno di assistere a questo meraviglioso spettacolo. Per tutti gli altri "miei" danzatori inconsapevoli li ringrazio per rinnovare ogni volta il mio amore per il movimento, in qualsiasi sua forma. 


sabato 10 giugno 2017

Pensieri sparsi di un'insegnante...

Qualche anno fa parlando con una persona del mio approccio all'insegnamento, mi fu detto che sbagliavo a dire alle allieve che, anche io, nel mio percorso personale di studio, ritrovavo le stesse difficoltà che avevano loro in questo momento, mi disse che non avrei dovuto ammettere le mie "difficoltà" personali perchè dovevo apparire ai miei studenti come un punto di riferimento forte, stabile, fisso. Questa cosa mi è un po' rimasta dentro, scatenando nel tempo riflessioni e dubbi sul mio ruolo di insegnante. Da una parte capisco perfettamente che un'insegnante debba essere una sorta di "meta" per l'allieva, dovremmo essere un'ispirazione, e per esserlo non possiamo vacillare (troppo), dobbiamo offrire alcuni punti fissi, certi, nel percorso di apprendimento che proponiamo agli studenti, dall'altra però credo sia anche fondamentale mantenere un'immagine reale e realistica del percorso di apprendimento. Credo sia importante, soprattutto quando le allieve arrivano ad un plateau nelle proprie competenze, essere il vivo esempio che valga la pena andare sempre un po' più in là, provare a trovare e superare un nuovo limite, trasformare le proprie paure in carburante, non avere insomma paura di imparare qualcosa di nuovo, per quanto frustrante questo possa essere. A mio avviso per poter insegnare si dovrebbe essere capaci di ricordare quando eravamo noi allieve e allo stesso tempo dimenticarlo, ricordare che accanto all'empatia dovrebbe starci anche la "pretesa" che ogni studente dia il massimo che può dare, per imparare qualcosa sulla danza e su se stessi. Forse è per questo che da fuori appaio come un'insegnante un po' inflessibile, "seria" (che a volte lo ammetto mi sembra sia visto come un difetto), che da troppi stimoli. Ve lo dico, non sono capace di essere diversa, spingo gli altri perchè è quello che faccio con me stessa. Non sono capace di pensare che sono arrivata, che così è abbastanza, e non riesco ad "accontentarmi" anche quando ho davanti uno studente di cui vedo il potenziale, (qualunque esso sia). Allo stesso modo non sono capace di pensare alle mie allieve come a qualcosa di mio. Le allieve sono in prestito, di passaggio, ciò che posso fare io per loro è provare ad essere una parte importante del loro percorso, e quando se ne vanno essere un insegnante da ricordare. Non è facile, mi affeziono e mi dispiace quando qualcuna smette, se ne va in un'altra scuola, da un'altra insegnante, ma anche io da allieva ho fatto lo stesso, ho cercato ispirazione in diversi insegnanti, da allieva ho vissuto sentimenti contrastanti verso chi mi stava insegnando, siamo persone, io per prima, credo sia importante ricordarlo, per questo penso sia fondamentale mostrare alle allieve che anche noi affrontiamo le stesse paure, le stesse frustrazioni, non per "mettersi nei loro panni", ma per mostrare loro che nella danza (come nella vita) non esiste "facile", ma affrontabile, superabile. 

lunedì 13 marzo 2017

Creatività, etica, produzione artistica e appropriazione culturale.

La creatività è un processo di pensiero che ci permette di crescere, di esplorare ciò che ci piace o non ci piace, di creare nuove strade, di ripercorrerne di antiche e a volte, se siamo fortunati, di esprimere la parte più nascosta e "illuminata" di noi stessi. E' un processo importante per lo sviluppo di ogni essere umano, tutti noi siamo creativi, anche  se gli atti creativi che produciamo a volte sono quasi impercettibili. Tutti noi però siamo capaci di creare, questo però non significa che qualsiasi cosa emerga dalla nostra mente sia necessariamente da condividere, o che tutto possa essere "manipolato" e "utilizzato" per i nostri progetti creativi. Questo è vero soprattutto quando il nostro mezzo creativo non è parte della nostra cultura d'origine. Qual'è il confine tra libertà espressiva, etica e appropriazione culturale? 
Navigando tra social, internet e il mondo reale ho notato, con mio rammarico, che la questione della "appropriazione culturale" è poco se non totalmente sconosciuta o meglio NON riconosciuta, all'interno della comunità di donne che praticano la "danza orientale" nelle sue diverse declinazioni e derivazioni. 
Sarò sincera, non ho ancora capito se questo mancato riconoscimento di una questione così importante è dato da una sostanziale ignoranza di fondo rispetto alle culture/società in cui questa danza si è sviluppata ed evoluta, o se è proprio una forma di colonialismo culturale, (e non uso la parola colonialismo a caso) talmente radicato che non lo vediamo nemmeno, o non siamo disposti a riconoscere come parte di noi. 
Come sempre non sono qui per puntare il dito su nessuno, vorrei solo che certe questioni vengano a galla e si faccia un passo avanti per riconoscere anche le nostre responsabilità nel perpetrare un immaginario esotico/erotico che risponde più alla visione che "l'occidente" ha del "Medio Oriente" che alla realtà. 
Quando si parla di Appropriazione culturale si intende in generale l'impiego di "caratteristiche culturali" (arte figurativa, musica, tessuti, gioielli etc..) appartenenti ad una cultura altra dalla nostra, scollegandole dai significati simbolici, sociali, storici e culturali che possiedono nella cultura d'origine, a volte per ignoranza a volte per stupire lo spettatore, a volte semplicemente perchè pensiamo che sia un nostro diritto artistico manipolare "l'altro" per i nostri fini, qualsiasi essi siano. 
Il confine tra "appropriazione culturale" e "libertà creativa" è molto sottile, me ne rendo conto, ma questo confine esiste e rispettarlo è importante proprio per poter dare alle nostre azioni artistiche una forza comunicativa maggiore. 
La danza per me è un linguaggio, un mezzo di comunicazione, molto potente, che può diventare uno strumento per combattere stereotipi e pregiudizi verso la cultura che sottende il nostro mezzo espressivo (la danza orientale in questo caso), di questo dobbiamo essere consapevoli. Non possiamo svincolarci da questa responsabilità se vogliamo portare la nostra danza ad un livello "superiore", non possiamo decidere di "cancellare" alcune parti della cultura d'origine della nostra danza o di decontestualizzarla perchè "a noi piace così", perchè ciò che portiamo là fuori non riguarda solo noi. 
Le parole come i gesti, i movimenti e la danza hanno un senso e un significato originale/originario che non possono essere dimenticati. 
Studiare è la chiave: informarsi, farsi domande, mettersi dalla parte "dell'altro". Tutto questo non riduce la nostra creatività e la nostra libertà artistica, al contrario ci permette di accedervi ad un livello più profondo, creando la nostra danza nel rispetto della cultura da cui proviene. 

venerdì 10 febbraio 2017

Primi passi ...

Mi capita ultimamente di pensare alle mie prime esperienze di danza, ai miei primi passi in questo mondo, a chi è diventato per me non solo un insegnante, ma una fonte continua di ispirazione e un mentore. 
Ho fatto molti stage nella mia vita di danzatrice, ed alcuni si conservano più vividi di altri. Ricordo ancora, al mio primo stage con Mona Habib, la fatica e la concentrazione per imparare la coreografia, ma ricordo anche e sopratutto la bellezza del brano, il piacere di ritrovare, nelle sequenze che via via componevano la coreografia, un feeling unico con la musica, un racconto che seguiva i suoni, le battute, le pause: il corpo che raccontava la musica, il mio corpo che si ritrovava perfettamente a proprio agio nella visione che questa danzatrice aveva della musica araba. 
Quello è stato il mio primo stage con Mona Habib e mi sono innamorata del suo stile, della sua eleganza, della sua pazienza e del suo amore per questa arte.
Da allora ne ho fatti molti altri, con lei e con altri danzatori e danzatrici, da tutti ho ricavato qualcosa di prezioso e importante, ma lavorare con Mona Habib, ancora oggi mi carica, dandomi mille spunti creativi. 
Ancora oggi aspetto con una trepidazione quasi infantile il momento di entrare nella sala di danza con lei, di scoprire la nuova coreografia, di approfondire la tecnica, di scoprire qualcosa di più del suo talento creativo e della sua immensa conoscenza di questa danza. 
Di fronte ad una certa "vena frenetica" che sembra contraddistinguere il trend della danza orientale attualmente, per me Mona Habib è un respiro profondo, è un passo fatto danza, vissuto nel momento, è modernità e tradizione insieme, è quello che voglio diventare da grande. 

   

giovedì 19 gennaio 2017

Tutto un altro mondo...

sono ormai un paio di settimane che sono alla ricerca di un nuovo argomento per questo blog, ho scritto molte idee in uno dei miei libretti magici :) ma nessuna era ancora riuscita a sbocciare. 
Ieri mentre parlavo con una mia allieva mi è tornato alla mente questo video, un documentario del 2007 di Cèlame Barge, intitolato "Dancers" che parla di un'altra danza orientale, non quella fatta di lustrini, ma quella fatta di necessità... e così ho trovato l'argomento del mio nuovo post. 
Condivido il link al documentario (sottotitolato in inglese), perchè non mi pare sia "girato" tanto in Italia all'interno del mondo della danza orientale. 
Lo condivido anche perchè, credo sia importante conoscere questo aspetto più nascosto della danza che noi pratichiamo, ma ho deciso di non aggiungere altro, questa volta non voglio "dire", ma lasciar parlare queste donne, che fanno comunque parte del nostro mondo. 
Lascio la parola anche a voi, per condividere le vostre riflessioni e i vostri pensieri, perchè a volte è molto più importante ascoltare che parlare (o scrivere, in questo caso)...

Buona Danza
Francesca

"Dancers" documentario di Celame Barge

link youtube "Dancers" documentario di Celame Barge

sabato 17 dicembre 2016

E mi innamoro di nuovo di te...

L'altro giorno, mentre sceglievo la musica per la lezione, scorrendo tra la musica nel mio Ipod, un vecchio cd, che avevo comprato ad uno dei primi stage che avevo fatto un numero indefinito di anni fa, si è fatto nuovamente notare. 
La musica è partita e mentre facevo riscaldamento con le mie allieve, hanno cominciato a riaffiorare ricordi ed emozioni. Ho scoperto che quella canzone è indissolubilmente legata al ricordo di uno dei miei primi stage. Riascoltarla oggi, dopo un periodo in cui la mia relazione con la danza orientale ha vissuto alti e bassi, riascoltare quella canzone non è stato un caso, è stato un nuovo spunto. 
Mi sono ritrovata a pensare ai miei primi passi in questa forma d'arte, alle mie prime esperienze come allieva, la sensazione che tutto fosse lì per me da imparare, la gioia di sentire che ogni lezione, ogni stage portava qualcosa di più alla mia danza, la sensazione che ci fosse talmente tanto da imparare che non ce l'avrei mai fatta a conoscere tutto. 
Ero nella prima fase dell'innamoramento, quando tutto è bello, positivo, intrigante, quando danzare ti fa sentire leggera, libera. Quando tutto è nuovo e preludio di scoperte incredibili. 
Poi la danza diventa più "normale", inizia a far parte di te e come nelle relazioni con le persone cominci a scoprirne i "difetti", le difficoltà della vita quotidiana, le musiche diventano parte della routine, la tecnica si fissa e se da una parte sembra di fare meno fatica, dall'altra sembra che si restringa sempre di più il campo delle cose che restano da imparare. Ad un certo punto, diventa sempre più difficile entusiasmarsi, appassionarsi a qualcosa. 
Nonostante tutto ho continuato sempre a fare stage e lezioni, ad approfondire la danza, nelle sue diverse accezioni, a esplorare nuovi modi di intendere la danza. Ma quello che prima mi era facile, quasi naturale, era diventato quasi insopportabile. 
Poi altre strade si sono aperte, ho incontrato nuove persone, nuove danzatrici, nuovi modi di fare danza orientale e la scintilla aveva ravvivato il fuoco, ma non era più come prima. 
L'altro giorno invece riascoltando Fakkarouni, (una delle perle della musica Araba), qualcosa di nuovo è successo: mi sono ritrovata a ri-innamorarmi di nuovo come tanti anni fa, della Danza Orientale. 
Il mio corpo, il mio cuore, la mia mente, hanno ripercorso i passi e la sensazione di gioia totale, quasi infantile, l'emozione che avevo provato quel giorno imparando la coreografia su questa canzone, facendo fatica, ma sentendo la musica scorrere nei miei movimenti, ancora impacciati, ma vissuti.
Stamattina rileggendo il testo della canzone mi sono scoperta a sorridere, quale altra canzone se non una che parlava di memorie e sentimenti mai sopiti, poteva essere la messaggera della rinascita del mio amore per questa danza!? Così ho deciso di scrivere questo nuovo post, forse un po' delirante, (ma in fondo l'amore è in parte delirio, no?), per raccontare a chi come me ha attraversato o sta attraversando un momento burrascoso con la Danza Orientale, che anche quel momento difficile è parte del viaggio nell'apprendimento di una forma d'arte, che anche se può essere difficile e doloroso a volte, quel momento difficile di abbandono e riscoperta, di odio/amore, forse proprio quel momento lì ci permetterà di riassaporare la danza ancora più profondamente. In fondo per essere felici, bisogna aver conosciuto anche la tristezza, e per me, nella danza è un po' così, dopo averla sentita così lontana ricongiungermi di nuovo con lei è un momento fondamentale per fare di me un'artista più completa, una persona più vera e serena. Non perdete la speranza ;) 
Buona danza
Francesca



giovedì 29 settembre 2016

Orientalismo: il fascino dell'esotico

Ecco il primo post per inaugurare questa nuova avventura, il primo argomento che vorrei trattare è una questione che potrebbe essere vista come "puramente accademica", ma che dal mio punto di vista è invece fondamentale: la questione Orientalista, ossia il fascino dell'esotico. Il termine Orientalismo, (proposto da Edward Said nel suo libro omonimo), è un termine famigliare per chi proviene da un percorso universitario simile al mio, è una parola importante, che si riflette anche nel mondo della Danza Orientale, nell'immaginario ad essa sotteso. Ma partiamo dall'inizio, quando noi divulghiamo la Danza Orientale, parliamo non solo di movimento e corpo, ma anche e soprattutto di culture e mondi altri definiti solitamente Medio Orientali. Il termine "geografico" Medio Oriente comprende più o meno involontariamente in se una visione "di parte" è un termine che definisce la posizione di un'area rispetto all'Europa, termine nato quando l'Europa era ancora considerata il centro del mondo, è un termine che presuppone la definizione dell'altro come "contrapposto" a ciò che siamo noi. Quando Said ha proposto il termine Orientalismo faceva proprio riferimento a questa visione, figlia di un retaggio colonialista, che racchiudeva nella parola "Oriente" una visione edulcorata, riassunta in canoni e immaginari dipendenti dalla visione eurocentrica e colonialista, non dalle diverse e molteplici componenti Reali di questi territori, prediligendo invece questa entità/identità di comodo. Ma perché parlare di Orientalismo nella Danza Orientale? Perché questa visione Orientalista è molto più radicata di quanto si pensi, emerge distintamente ogni volta che ci accontentiamo di rappresentare una cultura altra da noi, attraverso stereotipi e preconcetti (noi italiani in questo siamo stati storicamente da entrambe le parti: l'italiano mafia pizza e mandolino ne è un esempio lampante e ancora attuale), emerge ogni volta che decidiamo di proporre questa danza come retaggio di un mondo "antico" fatto esclusivamente di piaceri e bellezza: l'Harem e il Sultano ad esempio, tralasciando gli aspetti di quel mondo che ci risultano scomodi, ostili o semplicemente incomprensibili. Ma se vogliamo davvero rendere onore a questa forma d'arte abbiamo il diritto e il dovere di esplorarne tutti gli aspetti, senza edulcorarne o modificarne la realtà per paura o "comodità". Con questo non voglio dire che non si può utilizzare l'immaginario dell'Harem o del Sultano o le favole leggendarie de "Le mille e una notte" che hanno innegabilmente il loro fascino e la loro bellezza, (ricordo peraltro che "Le mille e una notte" sono una raccolta di racconti di provenienza principalmente Persiana, non Araba), lo possiamo fare, ma con la consapevolezza che stiamo appunto proponendo un sogno, una nostra "Visione" e non ciò che questa danza è oggi in Egitto o in Turchia o in Libano. Per concludere vi propongo una lettura un po' più "leggera" del libro di Edward Said, ma altrettanto interessante, un libro che mi ha accompagnato durante tutto il mio corso di Laurea, il libro di Maxime Rodinson "Il fascino dell'Islam" edizioni Dedalo, in cui Rodinson ci racconta come l'Islam e i suoi territori sono stati studiati nel corso dei secoli da studiosi "occidentali".

mercoledì 28 settembre 2016

Chi sono e perché scrivo di Danza ...

Ciao mi presento, sono Francesca, mi sono avvicinata allo studio della Danza Orientale dopo essermi laureata in Lingue e Letterature Orientali (quadriennale lingua araba) a Ca' Foscari nel febbraio del 2000. La Danza Orientale è entrata ufficialmente nella mia vita nel 1997, durante un soggiorno studio in Yemen, lì per la prima volta, durante i pranzi e le feste a casa di amiche ho scoperto questa incredibile arte, espressione non solo del mondo femminile, ma di cultura/culture che in Occidente liquidiamo grossolanamente con il termine Medio Orientale. 
Sono passati un po' di anni da quel primo incontro e oggi mi ritrovo ancora ad innamorarmi e stupirmi dei meravigliosi mondi che questa Arte custodisce. Non mi dilungo oltre sul mio percorso di formazione, perché lo puoi reperire tranquillamente nel web, lo scopo di questo blog non è infatti raccontare chi sono, ma appunto Pensare la Danza, perché la Danza è pratica, ma è anche pensiero, riflessione, discussione, approfondimento ed è questo il fine principale di questo ennesimo blog sulla Danza Orientale. 
La mia formazione accademica mi ha sempre portato a "guardare oltre" il movimento, e la declinazione storico-culturale dei miei studi mi ha portato ad avere uno sguardo "accademico" che non si accontenta della spiegazione più "appetibile", ma cerca fonti, motivazioni, fatti a supporto di ciò che mi trovo ogni giorno ad imparare, e re-imparare. 
Questo blog vorrebbe diventare, da grande, un luogo di ritrovo, di riflessione, di discussione e di condivisione sulla Danza Orientale nei suoi diversi aspetti. Non possiedo verità assolute e nemmeno mi interessano, ma non sono capace di accettare la frase: "perché è così" come una valida motivazione per sostenere un qualsiasi punto di vista, nella Danza come nella Vita. 
Spero quindi di condividere con te: danzatore, danzatrice, curioso, curiosa :) riflessioni, pensieri e nozioni che possano diventare un punto di partenza, per nuovi Percorsi di Danza.