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venerdì 27 settembre 2019

La Scuola Salimpour: non è ciò che pensi.


La Scuola Salimpour: non è ciò che pensi.
Traduzione dell’articolo di Abygail Keyes “The Salimpour School: is not what you think” 

La Scuola Salimpour esiste da molto tempo. Di fatto dal 1949. Durante questo periodo abbiamo dato vita a molta storia, formato molti danzatori/danzatrici, e … ispirato molte chiacchiere, mezze verità e veri e propri malintesi.

Davvero la fuori ci sono molti, ehm, punti di vista interessanti riguardo la Scuola Salimpour: chi siamo, cosa facciamo e cosa insegniamo. Io ho studiato (in questa scuola) per più di dieci anni, e non spenderei migliaia di dollari e ore per un programma in cui non credo, con un mentore che non creda in me, e che non abbia una vita di esperienza e conoscenza.

Grazie ad un fenomeno cognitivo chiamato “Anchoring” è difficile cambiare la prima impressione che si ha di qualcosa: una persona, un posto, un’istituzione. Il nostro cervello effettivamente è influenzato dalla prima cosa che sentiamo, a prescindere dal fatto che, più tardi, sentiremo informazioni più vere o più affidabili, che contrastano con le prime. 

Quindi, se tu non fai parte della scuola, o hai appena iniziato il tuo percorso di certificazione, ecco le 5 cose più importanti riguardo la scuola che io (e noi) vorremmo tu sapessi. Pregiudizio “Anchoring” o no.

1) In realtà siamo molto simpatiche.
Qualsiasi istituzione che incoraggi il duro lavoro, la competenza e l’eccellenza rischia di essere etichettata come “snob” “elitaria” ed “arrogante”. Basta guardare quante persone guardino alle università della Ivy League o ai loro professori come a “torri d’avorio”. Grazie a qualcosa chiamato “negativity bias” sarà più probabile che tu tenda a ricordare le cose negative che senti riguardo un’organizzazione, istituzione o persona, che alle cose positive. Grazie, cervello.

Tuttavia negli ultimi tre anni quando abbiamo tenuto i nostri “summer intensive” l’amore in sala è stato palpabile.

Le danzatrici e i danzatori, a prescindere dal livello di certificazione, sono sempre stati di supporto, generosi e umili. Non ho sentito un insulto, un commento cattivo o il tentativo di mortificare l’altro. Quando le danzatrici e i danzatori tornano alla “Mothership” per formarsi, non stanno solo lavorando sulla propria danza, stanno anche contribuendo a costruire una comunità mondiale.

Personalmente in qualità di istruttrice, io faccio sempre uno sforzo - nonostante il mio sentirmi impacciata, i miei passi falsi sociali e la mia generale tendenza ad essere una “professoressa persa nei miei pensieri” - per far sì che ogni uno si senta benvenuto, indipendentemente dalla sua abilità o esperienza. So che la mia collega istruttrice Parya fa lo stesso. Suhaila ha creato la sua scuola perché fosse uno spazio sicuro per le danzatrici/danzatori dove imparare, crescere e allenarsi.

La sala di danza dovrebbe sempre essere un posto dove gli studenti possano sperimentare, fare errori ed essere vulnerabili. In effetti la vulnerabilità è un elemento chiave in ciò che impariamo nel Suhaila Format Level 3. Se non riusciamo ad essere aperti e a fidarci dei nostri corpi, come possiamo lasciare che la musica ci ispiri o ci guidi?

2) Non siamo una scuola di tribal style.
In continuazione, in gruppi di facebook ma non solo, sento persone che non hanno mai messo piede nella nostra sala (di danza n.d.t.), affermare che nella Scuola Salimpour si studia solo tribal.
Allerta spoiler: Non è vero. 

Si, è vero che la tribal style bellydance come la conosciamo oggi, non esisterebbe senza Bal Anat di Jamila Salimpour. Ma Jamila non voleva creare un nuovo genere o stile di bellydance. Le danzatrici che si esibivano alla Reinassance Faire tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, erano le stesse danzatrici che si esibivano nei nightclub Medio Orientali di San Francisco.  I costumi, la sede e la presentazione in Bal Anat erano diverse, ma non era uno “stile” diverso. E sebbene essa stessa apprezzi le innovazioni, Jamila ha affermato che per lei se una danzatrice non si esibisce usando musica Medio Orientale allora non è bellydance.

Al momento ci sono molte danzatrici/danzatori nel genere tribal fusion che usano il nome Salimpour nelle descrizioni dei loro corsi e workshop, riconoscendo in tal modo, l’impatto che entrambi i metodi di Jamila e Suhaila hanno avuto sulla loro danza. Forse è qui dove è iniziato l’equivoco che identifica la Scuola Salimpour come tribal. Danzatrici e danzatori non tribal vedono il nome e semplicemente assumono che la scuola in se promuova il “tribal style”. Ma quello che le persone non sanno è che molte di quelle danzatrici e danzatori non studiano con noi da qualche anno.

Vorrei mettere le cose in chiaro: Noi formiamo danzatrici e danzatori perché siano capaci di esibirsi in quanti più stili preferiscono, con un’enfasi sulla capacità di interpretare e danzare la musica Araba.

3) Onoriamo l’eredità, ma anche cambiamo con i tempi.
Quando la tua scuola è una delle più vecchie scuole di bellydance negli Stati Uniti (nel mondo?), la capacità di incassare colpi e adattarsi ai cambiamenti ce l’hai nel sangue. Il nostro curriculum cambia di continuo per integrare le teorie correnti (sul movimento n.d.t.) e gli aspetti kinesiologici.

In qualità di istruttrice principale alla “Mothership” in California, lavoro a stretto contatto con Suhaila per integrare nuovi approcci: le questioni accademiche attuali e le ricerche accademiche più recenti nella medicina dello sport, nell’insegnamento, nel riscaldamento e nel materiale per le lezioni. Niente è statico, Come Suhaila stessa ha detto, se non vai avanti, verrai lasciato indietro.

Ma, ovviamente, onoriamo anche il contributo che Jamila ha portato alla bellydance negli Stati Uniti. Grazie ai nomi dei passi e alla loro categorizzazione possiamo contestualizzarli più facilmente, capire da dove vengono e incarnarli (nel movimento n.d.t.) con una profonda comprensione che va oltre la ripetitiva imitazione meccanica. 

Il nostro curriculum è in costante evoluzione in accordo con i bisogni degli studenti, le ricerche in essere e gli scopi del programma.

4) I nostri studenti non sono cloni.
Un’altra preoccupazione che sento da danzatrici/danzatori che sono curiose/i riguardo alla (scuola n.d.t.) Salimpour ma che, per mancanza di una parola migliore, hanno paura di venire anche solo a una serie di lezioni (come? perché?), è che quando danzatrici e danzatori seguono il programma, perdono la loro individualità.

Quando riguardo le mie vecchie performance, prima di entrare nei livelli più alti del programma Salimpour, vedo molta imitazione. Imitavo Artemis, Aziza, Dina, Mona el Said, Dalia Carella, Rachel Brice e molte altre danzatrici che mi hanno ispirato. Ma adesso quando mi guardo danzare, vedo me stessa.

Ovviamente la mia tecnica è chiaramente molto Salimpour, ma il mio movimento è molto più personalmente definito di quanto fosse dieci anni fa. Sicuramente ho ccreato il mio stile personale, creato e scolpito attraverso anni di formazione non solo alla Scuola Salimpour, ma con numerosi altri istruttori.

Poi ci sono le nostre danzatrici Level 5 che sono autorizzate ad insegnare il Format Salimpour. Nessuna di loro danza come un’altra. Il mio stile è molto diverso da quello di Sabriye Tekbilek, Rachel Rene George, Angelique Hanesworth, Stacey Lizette. Quando le danzatrici percorrono il nostro programma stanno imparando a trovare la propria voce nella musica che sta danzando. Nessuna di noi è qui per danzare come Suhaila. Solo Suhaila può danzare come Suhaila.

E solo tu puoi danzare come te!

Il che mi porta all’ultimo punto.

5) la musica e la cultura Araba sono il cuore del nostro lavoro.
Inerente a ciò, la comprensione del sentimento delle canzoni Arabe classiche, la complessità della poesia, e la storia della bellydance e relative forme è essenziale per ogni danzatrice/danzatore che abbia livelli superiori al Level 1 nei nostri programmi. Anche nel Jamila Level 1 contestualizziamo i passi attraverso la loro origine e carattere. la Basic Egyptian Family proviene dalle danzatrici della Golden Era del cinema Egiziano; la Arabic Family invece incarna i movimenti più riservati che si possono vedere durante una festa in famiglia.

Questo lavoro viene esplorato più approfonditamente nei nostri due workshop principali: The Choreography development (lo sviluppo coreografico) che dura 5 giorni e il Live Music and improvisation (musica dal vivo e improvvisazione) che dura 4 giorni. In questi workshop la musica guida la nostra interpretazione, espressività e scelte di movimento. Durante questi workshop usiamo solo musica Araba (sorpresa!), quindi dobbiamo restare fedeli al sentimento e al contesto originali con cui e in cui queste canzoni furono scritte. Lavoriamo inoltre su come lavorare e interagire con musicisti Arabi, inclusi terminologia, comprensione dei Maqam e etichetta.

Molti non sanno che Suhaila ha lavorato come danzatrice professionista nei nightclub, non solo negli Stati Uniti, anche nel mondo Arabo per più di dieci anni. In questo periodo si è esibita con alcuni dei maggiori cantanti Arabi nel Medio Oriente, inclusi Ahmad Adawiyya, Amr Diab e molti altri. Ancora prima ha viaggiato attraverso il mondo Arabo facendo ricerche e integrando i passi che aveva osservato nel format di sua madre fin dal 1978. Questa non è un’informazione riservata. E’ la fuori da almeno 15 anni. 

Molti cercano, per la propria formazione, danzatrici e danzatori che abbiano una esperienza “di quei posti” full immersion, tuttavia il nostro programma è percepito come troppo “occidentale” o “fusion”. Ma danzare e interpretare la musica Araba (e le altre musiche del Medio Oriente ovviamente) è il cuore del programma Salimpour.

Vieni a vedere di persona.
Se sei curiosa/curioso, vieni a seguire una lezione o un workshop con noi. Non importa quale sia la tua forma, età, genere o esperienza pregressa. Noi accogliamo tutte le danzatrici e danzatori. Diventerai più forte, incontrerai persone incredibili, e farai parte di una comunità globale di praticanti curiose e pensatrici.

giovedì 21 marzo 2019

Prima le parole



È da un po’ che non scrivo sul mio blog, non sempre mi è facile trovare il tempo e ancora di più le parole giuste per esprimere i pensieri e le riflessioni che mi vagano nella mente, e così oggi è proprio di ‘parole’ che ho deciso di riprendere a scrivere.
Per chi danza le parole sono spesso superflue, non necessarie, se non addirittura un ostacolo all’espressione più onesta del movimento del corpo. 
Cosa succede però quando abbiamo necessità di parlare e/o scrivere di danza? Le parole passano immediatamente in primo piano, diventano il primo canale di conoscenza e trasmissione di un sapere che non è solo corporeo, diventano quindi importanti tanto quanto i nostri movimenti, la musica, l’abito. Perché allora non ce ne prendiamo cura come facciamo con i nostri abiti, la musica e il nostro “trucco e parrucco”?
In altre aree del mondo le comunità di danzatrici orientali stanno discutendo e si stanno confrontando per cercare di “liberare”il vocabolario della danza orientale dai termini che hanno ancora il sapore di “orientalismo” ed “esotismo” così evocativi, ma anche, spesso, così pregni di colonialismo culturale. 
La danza è un linguaggio universale, ma la danza orientale - o, meglio, le danze del Medio Oriente - sono la rappresentazione della cultura e dell’evoluzione storica, politica e culturale di popoli e zone geografiche diversi. Questo pone noi - insegnanti, danzatrici e allieve, - in una situazione un po’ diversa: siamo rappresentanti, portavoce non solo della nostra creatività e visione artistica, ma anche di questi popoli e soprattutto di queste donne. 
Edulcorare la realtà attraverso l’uso di immagini che si rifanno ad un passato mitico o sovrapporre la danza orientale a immaginari culturali meno problematici pensando così di liberarci dal peso dell’attualità storica, politica e culturale che il Medio Oriente odierno presenta ha spesso l’effetto contrario, relegando la nostra danza ad un livello artistico ed espressivo meno significativo di altre danze che sono invece immerse nel contesto culturale in cui nascono. 
La danza può cambiare il mondo, ma prima deve avere il coraggio di guardare in faccia il mondo che vuole cambiare, non rigettando ciò che è “scomodo” ma, anzi, prendendolo e trasformandolo in uno spunto di riflessione che possa far crescere in noi e nel nostro pubblico una consapevolezza e un rispetto più profondo. Cercherò di spiegarmi meglio. Un po’ di tempo fa è stato condiviso su facebook un video di una danzatrice in un club egiziano che mostrava la nuova “tendenza” della danza orientale. La pubblicazione di questo video ha scatenato spesso commenti poco edificanti verso la danzatrice, il costume e l’atteggiamento della performer. Pochi si sono però soffermati sul motivo dell’affermazione di questa nuova tendenza, o su come promuovere una immagine alternativa. 
Non possiamo decidere di considerare l’Egitto patria della danza orientale se non siamo disposti a vedere che esiste anche un’altra realtà, come quella esposta qualche anno fa da un bellissimo documentario "Dancers" di Celame Barge che illustrava la vita delle danzatrici orientali non famose. Le umiliazioni, le difficoltà e lo stigma che queste donne devono vivere ogni giorno dovrebbe farci riflettere, perché noi rappresentiamo ANCHE loro, volenti o nolenti, e solo se troviamo le parole giuste per contestualizzare gli avvenimenti e gli eventi che l’attualità ci presenta ogni giorno potremo fare di questa danza un linguaggio potente e non solamente una forma di intrattenimento auto-relegata nell’evocativo ed esotico. 
Quando cerchiamo di depurare questa danza dai suoi aspetti più controversi il rischio che corriamo è proprio quello di spogliare questa danza dei suoi aspetti più identitari e arricchenti, quegli stessi aspetti che la rendono così bella e unica.

martedì 5 dicembre 2017

Il fascino del movimento.

Lo confesso, sono sempre stata affascinata e anche un po' ossessionata dal movimento. Fin da piccola, quando guardavo i vecchi musical con Fred Astaire e Gene Kelly, cercavo di imitare, replicare la leggerezza, i passi, la danza, che vedevo irradiarsi dal piccolo schermo. 
La danza è stato il mio primo amore, dal Bolero di Béjart in poi, un corpo smosso dalla musica mi ha sempre trasmesso emozioni indefinibili ma così profonde che seppure senza nome, non sono per questo meno emozionanti.
Crescendo, le mie esperienze a contatto con altre culture, hanno regalato alla mia fantasia nuovi spunti e immaginari di movimento. Ogni cultura contiene in se caratteristiche di movimento peculiari e allo stesso tempo universali. Questo sommesso filo conduttore che spesso si rivela nella danza, nelle danze di diverse culture mi ha offerto orizzonti di movimento più vasti, che si intersecano e si allontanano, che offrono al corpo, ai corpi nuove possibilità espressive. 
L'incontro con la danza educativa è stato, in un certo senso, l'ultimo anello di una catena di movimento in movimento. Questo diverso punto di vista mi ha permesso non solo di darmi una definizione personale di ciò che per me è danza, ma anche di comprendere meglio cosa mi colpisce, cosa mi emoziona di un movimento, di un corpo che danza la propria danza, mi ha permesso di sviluppare sempre di più la mia consapevolezza, il mio stare nel momento danzato, ma mi ha anche donato un regalo tra i più belli: la capacità di vedere la danza ovunque.
Avete mai camminato per la vostra città, il vostro paese con le cuffiette nelle orecchie e la musica che sovrasta e copre i rumori esterni? Immergendo, immaginando tutto ciò che vi circonda in una specie di improvvisazione danzante inconsapevole? Avete mai notato come tutto "va a ritmo" anche se la musica la sentite solo voi?
Io mi ritrovo a farlo spesso, anche senza musica ormai, trovando il suono nel movimento delle persone, nel ritmo della loro camminata, nella gestualità. Mi immergo nella poesia del corpo umano, ed ogni volta mi meraviglio della potenza espressiva del corpo. Seduta su una panchina mi ritrovo ad assaporare l'unisono di due persone che camminano fianco a fianco, i passi incerti di un bimbo che esplora, il piacere pervasivo dell'energia di una corsa, del rincorrersi dei bambini. La cadenza goffa e bella di un corpo adolescente che si adatta alla sua evoluzione fisica. Tutto questo mi regala ogni volta una sorta di serenità e di piacere profondo e intimo, credo sia per questo che insegno danza, perchè osservare le allieve esplorare le proprie potenzialità nella danza mi commuove, mi scuote. Vederle sviluppare e esplorare la propria voce danzante mi emoziona e spero ci saranno sempre allieve che mi permetteranno di assistere a questo meraviglioso spettacolo. Per tutti gli altri "miei" danzatori inconsapevoli li ringrazio per rinnovare ogni volta il mio amore per il movimento, in qualsiasi sua forma. 


lunedì 18 settembre 2017

Si riparte .....

Eccoci qua, di nuovo a settembre, l'estate ha già lasciato il posto all'autunno ed è arrivato il momento di ripartire con le attività: lavoro, scuola, famiglia, impegni ... e poi c'è la danza.
Come ogni anno questo è un momento rivelatore: chi fa le sue cose, chi un po' se la prede, chi discute, chi ironizza, insomma c'è un po' di tutto e anche qualcosa in più. Anche io come ogni anno mi trovo a rifare la pubblicità per i miei corsi, progetto nuove attività, sogno nuove opportunità... e poi la realtà si insinua e mi vengono mille dubbi, ci sarà qualcuno a cui interessa? Avrò davvero qualcosa di diverso da offrire? Beh in fondo credo di si, se no non starei qui a scrivere, a condividere, a mettermi in gioco di nuovo, ma l'altra parte del "problema" è: ci sarà qualcuno la fuori pronto per le cose che ho da dire? Per le cose che ho da proporre? A questa domanda non riesco mai a dare una risposta certa, ma non mi stanco di cercare di trasmettere la mia passione, il mio rispetto e la fatica anche che questa danza fa fare. Si perchè spesso ci dimentichiamo che la "fatica" è una componente fondamentale della scoperta, della ricerca, ma non parlo di fatica in senso negativo, ma in senso positivo, la fatica è per me l'impegno che ci si mette soprattutto quando è più difficile farlo, per migliorare noi stessi, non rispetto ad uno standard predefinito ma ai traguardi che ogni uno di noi, consapevolmente e inconsapevolmente si pone. quindi buona fatica e tante soddisfazioni a tutte voi la fuori alla ricerca del vostro posto nella danza.

sabato 10 giugno 2017

Pensieri sparsi di un'insegnante...

Qualche anno fa parlando con una persona del mio approccio all'insegnamento, mi fu detto che sbagliavo a dire alle allieve che, anche io, nel mio percorso personale di studio, ritrovavo le stesse difficoltà che avevano loro in questo momento, mi disse che non avrei dovuto ammettere le mie "difficoltà" personali perchè dovevo apparire ai miei studenti come un punto di riferimento forte, stabile, fisso. Questa cosa mi è un po' rimasta dentro, scatenando nel tempo riflessioni e dubbi sul mio ruolo di insegnante. Da una parte capisco perfettamente che un'insegnante debba essere una sorta di "meta" per l'allieva, dovremmo essere un'ispirazione, e per esserlo non possiamo vacillare (troppo), dobbiamo offrire alcuni punti fissi, certi, nel percorso di apprendimento che proponiamo agli studenti, dall'altra però credo sia anche fondamentale mantenere un'immagine reale e realistica del percorso di apprendimento. Credo sia importante, soprattutto quando le allieve arrivano ad un plateau nelle proprie competenze, essere il vivo esempio che valga la pena andare sempre un po' più in là, provare a trovare e superare un nuovo limite, trasformare le proprie paure in carburante, non avere insomma paura di imparare qualcosa di nuovo, per quanto frustrante questo possa essere. A mio avviso per poter insegnare si dovrebbe essere capaci di ricordare quando eravamo noi allieve e allo stesso tempo dimenticarlo, ricordare che accanto all'empatia dovrebbe starci anche la "pretesa" che ogni studente dia il massimo che può dare, per imparare qualcosa sulla danza e su se stessi. Forse è per questo che da fuori appaio come un'insegnante un po' inflessibile, "seria" (che a volte lo ammetto mi sembra sia visto come un difetto), che da troppi stimoli. Ve lo dico, non sono capace di essere diversa, spingo gli altri perchè è quello che faccio con me stessa. Non sono capace di pensare che sono arrivata, che così è abbastanza, e non riesco ad "accontentarmi" anche quando ho davanti uno studente di cui vedo il potenziale, (qualunque esso sia). Allo stesso modo non sono capace di pensare alle mie allieve come a qualcosa di mio. Le allieve sono in prestito, di passaggio, ciò che posso fare io per loro è provare ad essere una parte importante del loro percorso, e quando se ne vanno essere un insegnante da ricordare. Non è facile, mi affeziono e mi dispiace quando qualcuna smette, se ne va in un'altra scuola, da un'altra insegnante, ma anche io da allieva ho fatto lo stesso, ho cercato ispirazione in diversi insegnanti, da allieva ho vissuto sentimenti contrastanti verso chi mi stava insegnando, siamo persone, io per prima, credo sia importante ricordarlo, per questo penso sia fondamentale mostrare alle allieve che anche noi affrontiamo le stesse paure, le stesse frustrazioni, non per "mettersi nei loro panni", ma per mostrare loro che nella danza (come nella vita) non esiste "facile", ma affrontabile, superabile.