martedì 5 dicembre 2017

Il fascino del movimento.

Lo confesso, sono sempre stata affascinata e anche un po' ossessionata dal movimento. Fin da piccola, quando guardavo i vecchi musical con Fred Astaire e Gene Kelly, cercavo di imitare, replicare la leggerezza, i passi, la danza, che vedevo irradiarsi dal piccolo schermo. 
La danza è stato il mio primo amore, dal Bolero di Béjart in poi, un corpo smosso dalla musica mi ha sempre trasmesso emozioni indefinibili ma così profonde che seppure senza nome, non sono per questo meno emozionanti.
Crescendo, le mie esperienze a contatto con altre culture, hanno regalato alla mia fantasia nuovi spunti e immaginari di movimento. Ogni cultura contiene in se caratteristiche di movimento peculiari e allo stesso tempo universali. Questo sommesso filo conduttore che spesso si rivela nella danza, nelle danze di diverse culture mi ha offerto orizzonti di movimento più vasti, che si intersecano e si allontanano, che offrono al corpo, ai corpi nuove possibilità espressive. 
L'incontro con la danza educativa è stato, in un certo senso, l'ultimo anello di una catena di movimento in movimento. Questo diverso punto di vista mi ha permesso non solo di darmi una definizione personale di ciò che per me è danza, ma anche di comprendere meglio cosa mi colpisce, cosa mi emoziona di un movimento, di un corpo che danza la propria danza, mi ha permesso di sviluppare sempre di più la mia consapevolezza, il mio stare nel momento danzato, ma mi ha anche donato un regalo tra i più belli: la capacità di vedere la danza ovunque.
Avete mai camminato per la vostra città, il vostro paese con le cuffiette nelle orecchie e la musica che sovrasta e copre i rumori esterni? Immergendo, immaginando tutto ciò che vi circonda in una specie di improvvisazione danzante inconsapevole? Avete mai notato come tutto "va a ritmo" anche se la musica la sentite solo voi?
Io mi ritrovo a farlo spesso, anche senza musica ormai, trovando il suono nel movimento delle persone, nel ritmo della loro camminata, nella gestualità. Mi immergo nella poesia del corpo umano, ed ogni volta mi meraviglio della potenza espressiva del corpo. Seduta su una panchina mi ritrovo ad assaporare l'unisono di due persone che camminano fianco a fianco, i passi incerti di un bimbo che esplora, il piacere pervasivo dell'energia di una corsa, del rincorrersi dei bambini. La cadenza goffa e bella di un corpo adolescente che si adatta alla sua evoluzione fisica. Tutto questo mi regala ogni volta una sorta di serenità e di piacere profondo e intimo, credo sia per questo che insegno danza, perchè osservare le allieve esplorare le proprie potenzialità nella danza mi commuove, mi scuote. Vederle sviluppare e esplorare la propria voce danzante mi emoziona e spero ci saranno sempre allieve che mi permetteranno di assistere a questo meraviglioso spettacolo. Per tutti gli altri "miei" danzatori inconsapevoli li ringrazio per rinnovare ogni volta il mio amore per il movimento, in qualsiasi sua forma. 


domenica 26 novembre 2017

il primo appuntamento...

Pensieri sparsi (e non proprio coerenti) sull'effetto di un concerto...

Ieri sera sono finalmente stata al mio primo concerto di Vinicio Capossela, la mia prima volta è sempre un momento importante. Apprezzo la musica e i mondi che Vinicio svela nelle sue canzoni, e vederlo dal vivo era ormai una sorta di passaggio obbligato, avevo bisogno, in un certo senso, di fare finalmente conoscenza carnale con questo artista che ha parole e musica che mi scuotono sempre dentro.    

Sono arrivata in stazione a Venezia, con la città illuminata resistente al buio. Venezia normalmente mi predispone l'animo all'idea del sogno, all'idea dell'alternativo, immaginarsi le calli percorse da donne e uomini imparruccati, in altri tempi e altre vite mi lega alle corde dei passati e presenti.
Sono arrivata in teatro e mi sono seduta al mio posto, in attesa, tra i suoni di civette e una nebbia sottile. 
Poi inizia il concerto, ombre e suoni che si mescolano e mi fanno entrare in un mondo tra l'onirico e il selvaggio. Parto per il mio viaggio nei mondi di Vinicio dove la malinconia si mescola al sorriso, la follia alla bellezza e la goliardia alla serietà. 
Un concerto dal vivo è qualcosa che io reputo speciale, è un incontro intimo e personale con la musica e la vita di una persona, questo pensiero mi mette un po' in imbarazzo, mi sembra di invadere uno spazio personale e privato, ma è questo in fondo il bello dell'arte: che trasforma il privato in universale, questo è ciò che mi affascina di più, scorgere tra le note e le parole una vita viva, raccolta nello spazio di poche ore, che assomiglia sorprendentemente alla mia. 
Una favola musicata dopo l'altra, le ombre definiscono e svaniscono. La musica diventa parte dell'aria che si respira, non la ascolto più solo con le orecchie ma con il corpo, entra con il respiro e dai polmoni va la cuore, allo stomaco, al fegato, vibrando e seminando emozioni vivide, che si assommano e si contrastano, fino a sgorgare dagli occhi. 
Poi le ombre lasciano il posto ad altri luoghi, mentre il concerto continua mi ritrovo a fare mille pensieri, trascinati dalle parole, la musica ma anche solo il suono delle parole di per se già musica. Ad un certo punto chiudo gli occhi e la risacca della musica arriva ancora più forte. 
Finisce il concerto e resto un po' a metà, sospesa con la testa in questo mondo vero di fantasia. E' la sensazione che amo di più, lo strascico dell'arte, della creatività, che mi avvolge come un bel mantello per un paio di giorni. 
Sono grata a Vinicio per avermi permesso di sbirciare dalla sua finestra, è stato bellissimo. 

lunedì 18 settembre 2017

Si riparte .....

Eccoci qua, di nuovo a settembre, l'estate ha già lasciato il posto all'autunno ed è arrivato il momento di ripartire con le attività: lavoro, scuola, famiglia, impegni ... e poi c'è la danza.
Come ogni anno questo è un momento rivelatore: chi fa le sue cose, chi un po' se la prede, chi discute, chi ironizza, insomma c'è un po' di tutto e anche qualcosa in più. Anche io come ogni anno mi trovo a rifare la pubblicità per i miei corsi, progetto nuove attività, sogno nuove opportunità... e poi la realtà si insinua e mi vengono mille dubbi, ci sarà qualcuno a cui interessa? Avrò davvero qualcosa di diverso da offrire? Beh in fondo credo di si, se no non starei qui a scrivere, a condividere, a mettermi in gioco di nuovo, ma l'altra parte del "problema" è: ci sarà qualcuno la fuori pronto per le cose che ho da dire? Per le cose che ho da proporre? A questa domanda non riesco mai a dare una risposta certa, ma non mi stanco di cercare di trasmettere la mia passione, il mio rispetto e la fatica anche che questa danza fa fare. Si perchè spesso ci dimentichiamo che la "fatica" è una componente fondamentale della scoperta, della ricerca, ma non parlo di fatica in senso negativo, ma in senso positivo, la fatica è per me l'impegno che ci si mette soprattutto quando è più difficile farlo, per migliorare noi stessi, non rispetto ad uno standard predefinito ma ai traguardi che ogni uno di noi, consapevolmente e inconsapevolmente si pone. quindi buona fatica e tante soddisfazioni a tutte voi la fuori alla ricerca del vostro posto nella danza.

sabato 10 giugno 2017

Pensieri sparsi di un'insegnante...

Qualche anno fa parlando con una persona del mio approccio all'insegnamento, mi fu detto che sbagliavo a dire alle allieve che, anche io, nel mio percorso personale di studio, ritrovavo le stesse difficoltà che avevano loro in questo momento, mi disse che non avrei dovuto ammettere le mie "difficoltà" personali perchè dovevo apparire ai miei studenti come un punto di riferimento forte, stabile, fisso. Questa cosa mi è un po' rimasta dentro, scatenando nel tempo riflessioni e dubbi sul mio ruolo di insegnante. Da una parte capisco perfettamente che un'insegnante debba essere una sorta di "meta" per l'allieva, dovremmo essere un'ispirazione, e per esserlo non possiamo vacillare (troppo), dobbiamo offrire alcuni punti fissi, certi, nel percorso di apprendimento che proponiamo agli studenti, dall'altra però credo sia anche fondamentale mantenere un'immagine reale e realistica del percorso di apprendimento. Credo sia importante, soprattutto quando le allieve arrivano ad un plateau nelle proprie competenze, essere il vivo esempio che valga la pena andare sempre un po' più in là, provare a trovare e superare un nuovo limite, trasformare le proprie paure in carburante, non avere insomma paura di imparare qualcosa di nuovo, per quanto frustrante questo possa essere. A mio avviso per poter insegnare si dovrebbe essere capaci di ricordare quando eravamo noi allieve e allo stesso tempo dimenticarlo, ricordare che accanto all'empatia dovrebbe starci anche la "pretesa" che ogni studente dia il massimo che può dare, per imparare qualcosa sulla danza e su se stessi. Forse è per questo che da fuori appaio come un'insegnante un po' inflessibile, "seria" (che a volte lo ammetto mi sembra sia visto come un difetto), che da troppi stimoli. Ve lo dico, non sono capace di essere diversa, spingo gli altri perchè è quello che faccio con me stessa. Non sono capace di pensare che sono arrivata, che così è abbastanza, e non riesco ad "accontentarmi" anche quando ho davanti uno studente di cui vedo il potenziale, (qualunque esso sia). Allo stesso modo non sono capace di pensare alle mie allieve come a qualcosa di mio. Le allieve sono in prestito, di passaggio, ciò che posso fare io per loro è provare ad essere una parte importante del loro percorso, e quando se ne vanno essere un insegnante da ricordare. Non è facile, mi affeziono e mi dispiace quando qualcuna smette, se ne va in un'altra scuola, da un'altra insegnante, ma anche io da allieva ho fatto lo stesso, ho cercato ispirazione in diversi insegnanti, da allieva ho vissuto sentimenti contrastanti verso chi mi stava insegnando, siamo persone, io per prima, credo sia importante ricordarlo, per questo penso sia fondamentale mostrare alle allieve che anche noi affrontiamo le stesse paure, le stesse frustrazioni, non per "mettersi nei loro panni", ma per mostrare loro che nella danza (come nella vita) non esiste "facile", ma affrontabile, superabile. 

lunedì 1 maggio 2017

Why the Salimpour School? One question, too many answers!

I have always wanted to be a Ballerina. One of the clearest memories of my childhood is me dancing to classical music trying to be just like the one I had seen on TV, to move just like she did.
It took me “a while” to get to my life's desire, but after I finished my university degree I took my first class in bellydance, and that has been the first step I took into my future. Then I attended workshops, took classes, learned choreographies that took me always a little further.
I believe that things comes to you as you move both unconsciously and willingly through them. I went to my first workshop with Suhaila in a moment of impasse in my dance life, I had reached a good level in technique, but I was in a plateau, and it was uncomfortable. So I went not really knowing what to expect, but willing to see if it could be a new challenge... and a challenge it was, not only on a physical level, (straining to get the movements out of my body it was something I hadn't experienced in a while!), I was getting a glimpse of what my dance could become if I could learn to do one tenth of what Suhaila was doing. But I have to admit that what really reached inside me, and started to grow was the attention put on the importance of knowledge, deciding what to study, with whom and most of all: what kind of dancer I wanted to be. Well that was a lot of food for thought. And that was the beginning of it all. The level 1 was just the first taste, but only now that I am studying for Suhaila Level 3 and I am baffled to discover that I don't really know why I have chosen the Salimpor formats, even though I kind of know why I am studying to try to test for Suhaila Level 3 this summer: because every time I go through a new online lesson, every time I pick up a new book, every time I write my morning pages, I discover something more about me, I unveil a part of me that hasn't been created, on the contrary, it just needed to be aroused again. I think this is what this format is for me, the chance not to became a copy of Suhaila, but to learn to tap into my resources to discover that the limit is never steady, is never reached, it moves a little forward, a little further and I too, could move with it a little further.
Dance for me is not “loosing myself” into the movement, but living it, savour it, being into a blissful consciousness where body and mind are connected but kind of lost in each other. It's a balance game, not only the body needs to be ready to respond, talk and feel the music, the mind has to be aware, and at the same time willing to expose a part of the true self. These last years studying with the Salimpour school have showed me that what I see in this dance is not only my vision, and it hasn't got only one face, one side, but it is varied as the dancers taking part in it. Bal Anat in Europe, being part of it it, has been another small tile composing the mosaic of the Salimpour school and what it is for me. I could see the structure, the meaning of a common language and at the same time the chance to be myself into this.

When a person chooses a school it has logically some reasons to do so. I know I had some, but today I am not sure that the motives that lead me to start this program, are the ones that are keeping me to it. During the last month when I have tried to put down these reasons, maintaining it clean and simple I often got lost, because my ideas and opinions where never the same, one day I was pleased with myself for being able to do some drills right or follow a combo properly, the next day I was struggling through warm up, and that wasn't pleasant. Right now I'm trying to summarize once more what these formats are for me I am once again divided between the idea of challenge, struggle and discovery, but maybe they are altogether the basic reason of my staying with the Salimpour school and follow the certification: because it's not easy, I have to work for it, but there are great things for me to gain. I don't need easy, I need rewarding, I need to know myself, my dance skills, my creativity, my possibilities, and the Salimpour formats are allowing me to do it, it's up to me when and if I want to stop. The formats, the materials, the resources are there and every student gets from them what they need, what they are capable and what they can, the path is set but not defined. At the workshops seeing everyone doing their best, no judgment, no competition, but sharing of knowledge, struggles, sweat, impressions, opinions, have given me a great impulse. Maybe that's it that is what I like, that we don't learn only from Suhaila but from each other, but to be honest I really don't know, I have no straight answer, nothing is sure and steady, but changing every day, and perhaps this is what I like most, the fact that I cannot really put my finger on it, and that pushes me a little further to discover if there, there could be an answer. Right now “I focus on the process, and not the product”, and maybe next year I'll have some more answers, but I'm sure also many more questions.

http://www.salimpourschool.com/

lunedì 13 marzo 2017

Creatività, etica, produzione artistica e appropriazione culturale.

La creatività è un processo di pensiero che ci permette di crescere, di esplorare ciò che ci piace o non ci piace, di creare nuove strade, di ripercorrerne di antiche e a volte, se siamo fortunati, di esprimere la parte più nascosta e "illuminata" di noi stessi. E' un processo importante per lo sviluppo di ogni essere umano, tutti noi siamo creativi, anche  se gli atti creativi che produciamo a volte sono quasi impercettibili. Tutti noi però siamo capaci di creare, questo però non significa che qualsiasi cosa emerga dalla nostra mente sia necessariamente da condividere, o che tutto possa essere "manipolato" e "utilizzato" per i nostri progetti creativi. Questo è vero soprattutto quando il nostro mezzo creativo non è parte della nostra cultura d'origine. Qual'è il confine tra libertà espressiva, etica e appropriazione culturale? 
Navigando tra social, internet e il mondo reale ho notato, con mio rammarico, che la questione della "appropriazione culturale" è poco se non totalmente sconosciuta o meglio NON riconosciuta, all'interno della comunità di donne che praticano la "danza orientale" nelle sue diverse declinazioni e derivazioni. 
Sarò sincera, non ho ancora capito se questo mancato riconoscimento di una questione così importante è dato da una sostanziale ignoranza di fondo rispetto alle culture/società in cui questa danza si è sviluppata ed evoluta, o se è proprio una forma di colonialismo culturale, (e non uso la parola colonialismo a caso) talmente radicato che non lo vediamo nemmeno, o non siamo disposti a riconoscere come parte di noi. 
Come sempre non sono qui per puntare il dito su nessuno, vorrei solo che certe questioni vengano a galla e si faccia un passo avanti per riconoscere anche le nostre responsabilità nel perpetrare un immaginario esotico/erotico che risponde più alla visione che "l'occidente" ha del "Medio Oriente" che alla realtà. 
Quando si parla di Appropriazione culturale si intende in generale l'impiego di "caratteristiche culturali" (arte figurativa, musica, tessuti, gioielli etc..) appartenenti ad una cultura altra dalla nostra, scollegandole dai significati simbolici, sociali, storici e culturali che possiedono nella cultura d'origine, a volte per ignoranza a volte per stupire lo spettatore, a volte semplicemente perchè pensiamo che sia un nostro diritto artistico manipolare "l'altro" per i nostri fini, qualsiasi essi siano. 
Il confine tra "appropriazione culturale" e "libertà creativa" è molto sottile, me ne rendo conto, ma questo confine esiste e rispettarlo è importante proprio per poter dare alle nostre azioni artistiche una forza comunicativa maggiore. 
La danza per me è un linguaggio, un mezzo di comunicazione, molto potente, che può diventare uno strumento per combattere stereotipi e pregiudizi verso la cultura che sottende il nostro mezzo espressivo (la danza orientale in questo caso), di questo dobbiamo essere consapevoli. Non possiamo svincolarci da questa responsabilità se vogliamo portare la nostra danza ad un livello "superiore", non possiamo decidere di "cancellare" alcune parti della cultura d'origine della nostra danza o di decontestualizzarla perchè "a noi piace così", perchè ciò che portiamo là fuori non riguarda solo noi. 
Le parole come i gesti, i movimenti e la danza hanno un senso e un significato originale/originario che non possono essere dimenticati. 
Studiare è la chiave: informarsi, farsi domande, mettersi dalla parte "dell'altro". Tutto questo non riduce la nostra creatività e la nostra libertà artistica, al contrario ci permette di accedervi ad un livello più profondo, creando la nostra danza nel rispetto della cultura da cui proviene. 

venerdì 10 febbraio 2017

Primi passi ...

Mi capita ultimamente di pensare alle mie prime esperienze di danza, ai miei primi passi in questo mondo, a chi è diventato per me non solo un insegnante, ma una fonte continua di ispirazione e un mentore. 
Ho fatto molti stage nella mia vita di danzatrice, ed alcuni si conservano più vividi di altri. Ricordo ancora, al mio primo stage con Mona Habib, la fatica e la concentrazione per imparare la coreografia, ma ricordo anche e sopratutto la bellezza del brano, il piacere di ritrovare, nelle sequenze che via via componevano la coreografia, un feeling unico con la musica, un racconto che seguiva i suoni, le battute, le pause: il corpo che raccontava la musica, il mio corpo che si ritrovava perfettamente a proprio agio nella visione che questa danzatrice aveva della musica araba. 
Quello è stato il mio primo stage con Mona Habib e mi sono innamorata del suo stile, della sua eleganza, della sua pazienza e del suo amore per questa arte.
Da allora ne ho fatti molti altri, con lei e con altri danzatori e danzatrici, da tutti ho ricavato qualcosa di prezioso e importante, ma lavorare con Mona Habib, ancora oggi mi carica, dandomi mille spunti creativi. 
Ancora oggi aspetto con una trepidazione quasi infantile il momento di entrare nella sala di danza con lei, di scoprire la nuova coreografia, di approfondire la tecnica, di scoprire qualcosa di più del suo talento creativo e della sua immensa conoscenza di questa danza. 
Di fronte ad una certa "vena frenetica" che sembra contraddistinguere il trend della danza orientale attualmente, per me Mona Habib è un respiro profondo, è un passo fatto danza, vissuto nel momento, è modernità e tradizione insieme, è quello che voglio diventare da grande. 

   

giovedì 19 gennaio 2017

Tutto un altro mondo...

sono ormai un paio di settimane che sono alla ricerca di un nuovo argomento per questo blog, ho scritto molte idee in uno dei miei libretti magici :) ma nessuna era ancora riuscita a sbocciare. 
Ieri mentre parlavo con una mia allieva mi è tornato alla mente questo video, un documentario del 2007 di Cèlame Barge, intitolato "Dancers" che parla di un'altra danza orientale, non quella fatta di lustrini, ma quella fatta di necessità... e così ho trovato l'argomento del mio nuovo post. 
Condivido il link al documentario (sottotitolato in inglese), perchè non mi pare sia "girato" tanto in Italia all'interno del mondo della danza orientale. 
Lo condivido anche perchè, credo sia importante conoscere questo aspetto più nascosto della danza che noi pratichiamo, ma ho deciso di non aggiungere altro, questa volta non voglio "dire", ma lasciar parlare queste donne, che fanno comunque parte del nostro mondo. 
Lascio la parola anche a voi, per condividere le vostre riflessioni e i vostri pensieri, perchè a volte è molto più importante ascoltare che parlare (o scrivere, in questo caso)...

Buona Danza
Francesca

"Dancers" documentario di Celame Barge

link youtube "Dancers" documentario di Celame Barge