giovedì 23 maggio 2019

Harem Suare. Un film, un viaggio!


Il post di questa settimana è un pezzo vecchio, che ho scritto tempo fa su "Harem Suare" di Ferzan Ozpetek. 

Harem Suare
di Francesca Calloni


Presentato nella sezione “Un Certain Regard” al 52º Festival di Cannes, Harem Suare (1999, di Ferzan Ozpetek) è un film che per me, allora studentessa di Lingua e Letteratura Araba all’Università di  Venezia, è stato un viaggio. Una scoperta. Un’analisi. Uno studio. Oggi, nel 2013, a distanza di anni, dopo aver rivisto la pellicola, queste impressioni si ripresentano più vivide che mai.

Harem Suare è prima di tutto un viaggio nella storia. Un film in costume che spazia attraverso mezzo secolo e più della storia della Turchia, nel suo passaggio da capitale di un impero a stato laico moderno. Più voci femminili narrano, raccontano la vita nell'Harem del Sultano. Si intrecciano nelle loro parole le vite della favorita e delle altre, fino al momento della loro “liberazione” per mano di Ataturk. Le scene all'interno del palazzo del Topkapi regalano scorci di vita “familiare”, riportando a un passato sontuoso e opulento che richiama i quadri degli orientalisti, dando però voci ed emozioni a quelle donne fino ad allora congelate nelle tele. La vita dell'Harem che Ozpetek ci propone non è in fondo diversa da quella di tante corti occidentali. L'unica differenza è un secondo centro del potere, reale all'interno dell'Harem. Ed è questo che interessa al regista. L'ascesa della favorita, raccontata in due epoche diverse dalla protagonista stessa e da una donna dell'Harem, permette allo spettatore di avere davanti agli occhi il passato e il presente intrecciati nel viso di Lucia Bosè. 

Il racconto del suo arrivo a palazzo è l'inizio della nuova vita, che la porterà addirittura ad avere la possibilità di essere la madre del futuro Sultano, posizione di grande potere non solo all'interno del Harem, e che permette a noi di scoprire una realtà o un'idea di realtà che pone queste donne al centro, che le presenta come intelligenti, anche se non sempre per scopi nobili, acculturate e combattive, capaci di sognare e di amare. L'abolizione del Sultanato e la liberazione di chi vi era “prigioniera” sconvolgerà la vita delle donne dell'Harem. Ozpetek offre una lettura complessa della realtà dell’Harem, proposta anche dalla scrittrice marocchina Fatima Mernissi, ponendo l’accento sulla “quotidianità” della vita dell'Harem, sfrondandolo da fantasie orientaliste. Per le donne che vi avevano passato la maggior parte della propria vita Harem non aveva solo un'accezione negativa.  Dunque cos'è davvero la “libertà” e soprattutto emancipazione è sempre sinonimo di miglioramento? Ed è questa la domanda che sorge spontanea mentre si vede scorrere la storia con la S maiuscola sullo sfondo delle vicende personali della favorita. 

La seconda parte del film propone uno scorcio di realtà poco considerata: che ne è stato di queste donne “liberate”? Come sono ritornate a un mondo fatto spesso di povertà anche culturale? È stata davvero una liberazione per loro? Nella Turchia degli anni '20 cosa poteva significare per una donna essere stata del Sultano e ora non avere più nessuno che si occupasse di lei? Quale società si disponeva ad accoglierla? Il film traccia alcune possibilità. Dalle più positive: la riunione con la famiglia d'origine e la gioia per questa nuova vita che inizia, a l'offerta di “vitto e alloggio” da parte di loschi figuri alle più giovani e carine, certo preludio di una vita molto diversa da quella dell’Harem. La protagonista offre infine un’opzione diversa, che si lega al mondo della danza orientale. Vestita degli abiti sontuosi del suo passato diventa protagonista di uno spettacolo di varietà, “Harem Suare” appunto e a questo punto sorge una altro interrogativo: è stato davvero un bene? È stato davvero fatto per il bene delle donne? 

Sulle note di chiusura del film mi rendo conto di quanto questo film sia “orientale” nella sua proposta di lettura al femminile della storia, che per quanto con la s minuscola è pur sempre stata storia. 

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